L’industria della moda è la terza più inquinante al Mondo con un 20% di spreco globale di acqua e un 10% di responsabilità rispetto alle emissioni di anidride carbonica. Non esiste modo di differenziare i “nuovi” materiali utilizzati in questo settore commerciale, perché non costituiti da fibre naturali pure. Le Nazioni unite hanno indicato la fast-fashion (circa 52 micro-stagioni di moda l’anno) come fenomeno altamente pericoloso per la tutela del Pianeta e dei suoi abitanti.
Oggi un giovane startup, 100% made in Italy, propone un’alternativa circolare all’utilizzo esclusivo di materie prime vergini. Si chiama Rifò.
Nasce circa un anno fa a Prato, nella zona industriale già rinomata in Europa per la produzione tessile e per i famosi “cenciaroli”, facendo della circolarità della moda la sua missione e vincendo il primo premio al Festival Nazionale dell’Economia Civile come miglior startup innovativa. Questa impresa, costituita da giovani appassionati di moda ed economia circolare e sostenibilità sociale ha realmente “chiuso il cerchio” nel settore del tessile.
Partendo da un’antica tradizione dell’area toscana, quella dei “cenciaroli” – i raccoglitori di stracci usati, per intenderci – Rifò ha rimesso in moto lo sviluppo del tessile innovandolo e aggiungendo a questa attività di raccolta, quella di ri-lavorazione.
Abiti usati e dismessi, “stracci”, jeans vecchi e rovinati, coperte e pull – l’importante è che siano in cashmere o jeans di cotone – vengono trattati e riportati allo status di filato, per poi ricavarne la materia prima – sempre pregiata, ma riciclata e quindi meno costosa – per nuove t-shirt, maglioni, sciarpe e accessori per uomo e donna.
L’area in cui Rifò ha impiantato la propria azienda rappresenta logisticamente una forma circolare, sviluppandosi in circa 30 Kmq nell’area industriale di Prato e creando così un’economia circolare a KmZero, che dal centro della Toscana prende il volo, il mare o le rotaie per essere trasportata in tutta Europa e non solo!
Il business circolare di Rifò comprende il punto di raccolta dei “cenci” o abiti usati, la filanda dove ripristinare lo stato di filato dei tessuti da recuperare, la sartoria e maglieria in cui nuove tendenze fashion prendono vita e gli abiti ancora in buono stato vengono riparati, il magazzino per le spedizioni – non esistono negozi fisici, ma soltanto il grande shop virtuale sul sito web della startup – e gli uffici direzionali.
Un connubio perfetto fra tradizione, innovazione, impegno sociale e sviluppo economico sostenibile: quattro fra i pilastri dell’economia responsabile di cui si è parlato durante la tre giorni del Festival Nazionale dell’Economia Civile.
Rifò, come funziona?
Nella pratica, chiunque lo desideri può inviare i suoi capi usati in cashmere o jeans di cotone tramite spedizione gratuita organizzata direttamente con l’azienda tramite il sito web. Una volta che il corriere ha ritirato il capo o i capi prenotati, Rifò li riceve e qui inizia “la magia” di questa startup!
Se il capo è facilmente riparabile o riammodernabile, i sarti e magliai dell’azienda lo “rimettono in forma”, lo rispediscono al proprietario e allegano anche dei buoni acquisto online per provare altri capi originali “Made in Rifò”. Diversamente, qualora il capo o i capi non fossero più recuperabili, l’azienda li ricicla creando – con una tecnologia unica nel suo genere – un nuovo filato e da questo un nuovo maglione, coperta, cappello, sciarpa, telo mare. La fase di riciclo del capo in cashmere o jeans di cotone è incentrata sulla cosiddetta “sfilacciatura”: un processo che tritura e riduce a batuffoli il capo di partenza.
La regola di base per conferire a Rifò i propri capi è quella dell’etichetta. Questa infatti deve essere integra e leggibile, in modo che l’azienda e i suoi operai specializzati possano essere sicuri di quello che stanno riciclando o recuperando.
Inoltre, per chi volesse sposare il progetto e diffonderlo sul proprio territorio, c’è la possibilità di diventare uno dei punti di conferimento locali dei capi usati. Scrivendo all’azienda via mail e segnalando la città o il comune dal quale si proviene, Rifò penserà al resto!
In questo modo, il ritiro dei capi usati diventa ancora più sostenibile, organizzando un passaggio una tantum programmato, che riduce al minimo le emissioni di CO2 dovute al passaggio del corriere di spedizione inviato da Rifò sui territori.
Non solo cashmere!
Da quest’anno Rifò ricicla – come già detto all’inizio – anche i jeans di cotone. Grazie a un processo produttivo ad altissimo grado di innovazione, partendo da un vecchio paio di jeans e da qualche bottiglia di plastica, Rifò ottiene un nuovo filato di cotone, ma più resistente e comunque riciclabile, per creare t-shirt, coperte, sciarpe, tessile domestico, borse e chi più ne ha, più ne metta!
La capacità di essere innovativi e sostenibili al tempo stesso è il tratto distintivo di questa startup toscana di grande successo, che siamo sicuri conquisterà per molto tempo ancora gli onori della cronaca.
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