Giovani


spiegata da
Alessandra Smerilli

La frase che sento più spesso nei convegni e nelle occasioni in cui si parla di giovani è: “Però c’è del buono”.

In una lettura generalmente negativa – sono incostanti, fragili, sregolati, bruciano le tappe, incapaci di assumersi responsabilità… – si indicano alcuni segni positivi: allora “c’è del buono”, e spesso quel buono è ciò che più si avvicina alle nostre consuetudini e ai nostri valori.

Ora, posso forse immaginare che Dio mi guardi, mi scruti, e con un sospiro infine sentenzi: “Però c’è del buono”?

Oggi è evidente che non possiamo più immaginare l’educazione – almeno quella che vorremmo – come una via retta, un percorso lineare in cui al ragazzo sono idealmente tolte le esperienze negative, quasi a risparmiargli la libertà.

Uno dei problemi più grandi dell’Italia, che fa franare i patti sociali e generazionali e fa emergere risentimenti diffusi, è il non sapersi alleare e far rete, il non saper lavorare insieme.

Sempre una realtà deve prevalere sulle altre: non conta il risultato, ma che io o la mia realtà siamo visibili.

Forse dai giovani possiamo imparare qualcosa di diverso: sono più semplici di noi nell’affrontare le situazioni, non si pongono generalmente il problema di chi debba emergere e sanno naturalmente condividere.